Piaghe bibliche

15 settembre 2010
E’ proprio destino che io non riesca a scrivere uno straccio di post sull’hike dei 5 stronzi, memorabile rimpatriata di amicizie ventennali in cammino nelle foreste dell’appennino tosco-romagnolo. Chiedo venia agli altri 4, ma a questo punto devo gettare la spugna. Perchè qui non si tratta più di raccontare una innocente per quanto storica scampagnata tra amici. Qui ci sono forze più grandi di noi 5 che sono entrate in gioco. Guardatevi attorno, stronzi, perchè sono forze ancora in movimento. Danni collaterali. Reazioni a catena. Piaghe bibliche a grappoli, un giorno dopo l’altro. Qualcuno più grande di noi non voleva che ci incontrassimo. E ce la sta facendo pagare, soprattutto a me ziocane!
Ho già raccontato per filo e per segno in che modo la più spietata e violenta grandinata della mia vita mi abbia ridotto il parabrezza della macchina. Non vi ho riferito dei costi per ripararla, ma preferisco tacere per evitare che madornali bestemmie fuoriescano dalla bocca come incontrollati conati di empietà.
Il giorno dopo il ritorno, lunedì, comincio a sentire un prurito sulla coscia. Una zanzara mi avrà punto, penso, quindi gratto con grande soddisfazione. Ma le punture sono due, tre, cinque. Sul dorso, sul braccio, sulla caviglia. Macchie rosse e pruriginose. Mi guardo allo specchio, e ne scopro un’altra decina sulle cosce, e sotto le ascelle. Cristo una nidiata di insetti mi avrà punto durante la camminata e non me ne sarò accorto. La notte del martedì faccio fatica a prendere sonno, grattandomi come un gibbone. Durante la notte mi sveglio perchè sfregando caviglia contro caviglia come ho praticamente dato fuoco ad entrambe, come uno scout alle prese con i due proverbiali legnetti.
La mattina del mercoledì riesco a camminare con difficoltà, perchè le gambe mi prudono oltremisura. In ufficio mi vedono dimenare le mani dovunque e senza pudore su schiena gambe e persino sotto lo scroto, e si tengono a distanza nascondendo a fatica il disprezzo verso la mia persona. La giornata continua così e alla fine della sera, dopo due giorni di orticaria, sono ovviamente convinto di stare per morire, dunque chiamo il Dr Kildare, amico nonchè medico personale a distanza.
E scopro che il prurito ce l’ha anche lui. Contatto il Merda via skype. Pure lui. E Gastone a Milano si sta grattando sui muri di casa come gli orsi sugli alberi. Vlad se la passa meglio, ma considerate che Vlad non respira, clinicamente non è proprio vivo, dunque è tutto nella norma.
Cosa diavolo ci ha punto, che diavolo sono queste macchie rosse sul corpo, quando passa sto prurito? Cosa ci scrivo sulla bara in mogano? Il dr Kildare cerca di rassicurarmi, mi indica medicine da prendere, antistaminici, cortisone, robe così.
Io ovviamente da ipocondriaco ho già delle teorie catastrofiche: 1) ci siamo accampati in una piantagione di zecche, che sono in circolo nel nostro corpo come bimbi su una giostra, e ci mangiano dall’interno; 2) ragni microscopici ma non di meno velenosissimi ci hanno punto ovunque, e adesso stiamo vivendo le nostre ultime ore su questa terra prima di cominciare il lungo viaggio in tutù bianco ed arpa; 3) nelle foreste casentinesi si annidano animali tropicali che ci hanno trasmesso un tremendo virus letale che ci consumerà le carni in una amena e minuta grigliata collettiva e poi ne faranno un film.
Il giovedì va meglio, compro le medicine del dr. Kildare, e l’effetto placebo è assicurato. Vado dal dottor House, il mio cazzuto medico di famiglia, che ritiene il mio caso così interessante da tenermi 4 secondi annoiato e poi con la mano indica ad un altro di entrare. Il giovedì sera entra in gioco mio fratello, reduce da un mese negli USA. Mi guarda e dice: “questi insetti hanno punto pure me, ti do una pomata antibiotica potentissima comprata in America.” La pomata non mi fa un granchè, tant’è che arrivando dall’America mi viene il dubbio che sia la mitica crema “penis enlargment” a stelle e strisce, comprata da Copeland magari per la bisogna. Leggi il seguito di questo post »

Kabir risveglia l’ipocondriaco che è in me

3 giugno 2009

mycobacterium-tuberculosis

Premetto che, avendo constatato come le chiavi di ricerca del mio blog facciano accorrere da ogni dove gente piena di nei, fratturati al coccige, e persone in preda ad ansia da fascicolazioni, è il caso di sfruttare questo filone continuando a raccontare della mia perenne lotta contro l’ipocondria. In assenza di ghiotte rivelazioni sulla mia attività sessuale, e in mancanza di tags di carattere pornografico, per far campare il blog devo usare questi mezzucci.

Nella storia della mia ipocondria la paura di beccare una malattia infettiva ha sempre pesato in modo preponderante. A parte qualche isolata paura di avere un tumore, era anzitutto l’idea di prendermi un virus di quelli indistruttibili che ti spediscono a suonare il liuto davanti al Creatore, a nutrire la mia macerante paura di non essere sano.

E in effetti, il mio primo attacco di ipocondria risale a quando avevo 21 anni. A quei tempi, a metà anni ’90, l’AIDS esisteva ancora, e giustamente c’erano fior di iniziative e pubblicità per informare i cittadini sulla malattia, sui rischi e sulla prevenzione. I preservativi in tv andavano a qualsiasi ora, e se ricordate il tormentone “di chi è questo?” pronunziato in una classe scolastica da un professore che aveva trovato un goldone per terra, beh, avete capito a cosa alludo. Oggi per fortuna l’AIDS non c’è più, e quindi i preservativi sono tornati ad essere un oggetto sconosciuto e giustamente condannato da intelligentissimi uomini con lunghe gonnelle bianche come inutile ed informe sacca di lattice empia e per nulla casta.

Beh, io a quei tempi, guardando un depliant informativo sulla malattia, mi accorsi che si poteva prendere l’HIV anche tagliandosi con lame o lamette usate da altri. Non so da quale lontano tugurio del mio cervello venne l’idea, ma un mese prima mi ero tagliato con un coltellino di ignota provenienza. Facendo due più due, il mio cervello bacato aveva contratto l’HIV. Quindi telefonai al numero verde, chiedendo informazioni. Mi risero in faccia, ovviamente, ma questo non mi placò. Dovevo fare il test, e lo feci, pagando di tasca mia perchè di chiedere al mio dottore una impegnativa in tal senso non mi andava proprio. Ovviamente, il test era negativo e, se avesse potuto parlare, quel foglio di carta avrebbe anche scritto, dopo la dicitura “negativo”, anche la dicitura “sei un povero demente”.

Un’altra crisi ipocondriaca di carattere infettivo avvenne qualche anno fa, quando mi convinsi che avevo la scabbia. Ora non vi dico, per motivi di ovvia privacy, da chi potevo averla presa, nè chi, ancora più ipocondriaco di me, mi mise la pulce nel cervello, fatto sta che cominciai ad avvertire un fottuto prurito in ogni parte del corpo e che infine corsi in farmacia a chiedere un farmaco contro questa simpatica malattia. La farmacista mi guardò tradendo un lievo senso di disprezzo, infine mi diede queste potentissime fialette da spalmare sul corpo solo dopo essersi fatti una doccia. Allor dunque corsi a casa, feci una doccia, mi asciugai e cominciai a spalmare l’unguento miracoloso che avrebbe fatto razzia del maledetto parassita che, secondo il mio cervello in salmì, si nutriva in sottopelle di me. Arrivato a spalmare la lozione anche nelle parti intime, mi accorsi che il bagno schiuma non era del tutto andato via nel risciacquo, come accade a noi uomini talvolta nella zona – come chiamarla – sottotesticolare o scrotale. Sulle prime non ci feci caso, ma nel giro di dieci secondi sentii che i miei sacri pendenti stavano andando in fiamme. Una reazione tra farmaco e bagno schiuma mi stava evidentemente letteralmente arrostendo i coglioni, e le urla di dolore e le lacrime di sangue testimoniarono, in quel grigio giorno di ottobre, che la mia idiota paura di avere una malattia che non potevo assolutamente aver contratto, era giustamente punita dal dio della ragione con un brasato di testicoli, i miei, di cui ancora ricordo l’acceso colore rosso-peperone con venature verdastre. Leggi il seguito di questo post »


Trattato breve sull’ipocondria (tomo II)

16 febbraio 2009

dr-house

Ricapitoliamo: se vogliamo segnare una summa divisio tra gli ipocondriaci, dobbiamo distinguere quelli A) che dal medico manco ci vanno o per paura o perchè porta male (Punzy docet.); B) quelli che dal medico ci vanno. Nella categoria B dividiamo però ulteriormente due sottocategorie: B1) quelli che vanno dal medico per sentirsi confermare la diagnosi da loro sapientemente formulata dopo duemila consultazioni internautiche: della serie, meglio sentirsi dire che stiamo morendo, anzichè sentirsi dire che siamo degli sciroccati…

Oggi ci occuperemo interamente dei B2), perchè in questa categoria rientra il sottoscritto Paperoga.

B2) Secondo sottocerchio: quelli che vanno dal medico per sentirsi smentire l’auto-diagnosi infausta.

E’ inutile dire che questa è la forma di ipocondria più leggera e più comune. Ed è quella che ormai da anni ho stabilmente maturato io. In altre parole, l’ipocondriaco B2 è certamente preda di ansie che lo portano a sviluppare un’attenzione eccessiva ai segni che il proprio corpo trasmette, facendosi trasportare da pensieri un po’ troppo agitati, sopratutto notturni. Detto questo, però, nonostante sia tentato, non va su internet alla ricerca di conferme o smentite: no. Sa che aprire internet quando si teme di avere una malattia è un gigantesco ansiogeno, è  come avere male ai testicoli e darsi poi un calcio nei coglioni con degli stivali da vaquero. Perchè, se si vuole trovare una malattia grave che corrisponda ai propri sintomi, credetemi che in Internet la si trova. Anzi se ne trovano anche sette, a cercar bene.

Una volta, anni fa, cercavo su internet la possibile causa di una faringite ormai cronicizzata. Linkando che ti linkavo, finii in un sito delirante di fanatici tradizionalisti che elencavano i vari possibili sintomi dell’omosessualità, tra cui c’era anche la faringite cronica. Capirete che scoprire di essere gay in quel modo non fu affatto bello. Scoprirlo mentre ti avvicini pian piano a un bel masculo scoprendo per lui una innata attrazione e finendo dopo 5 minuti a pecorona (io però mi prenoto sopra) quello sarebbe un modo piacevole per scoprirlo. Ma lì, in quel momento, da solo, fu piuttosto deprimente.

Ad ogni modo, l’ipocondriaco B2 non va su internet. Si scaraventa immediatamente dal medico.  E per immediatamente voglio dire che molla qualsiasi cosa stia facendo e corre ad accamparsi la sera con canadese e sacco a pelo di fronte allo studio, in attesa dell’apertura.

Anche qui la scelta del medico è fondamentale. Perchè, a differenza di suo cugino B1, il B2 vuole un medico che lo mandi a fare in culo, che lo ridicolizzi, che umilii, ma che perdio gli dica quello che vuole sentirsi dire, ovvero  “lei non ha un amato cazzo”.

Per anni ho avuto un medico che ascoltava annoiato i miei racconti da tregenda sui giorni che mi restavano da vivere, su strani sintomi mai palesatisi in natura nell’intera umanità, e poi le mie tesi, le controtesi, le confutazioni di entrambe. Lui ascoltava con la matita in bocca, sprofondato nella sua poltrona in pelle umana, pensando probabilmente alla cliente bona che se n’era appena andata, e poi cominciava a scrivere decine di ricette con esami, medicine, protocolli, che nei due mesi successivi avrebbero confermato, dopo spiacevoli gastroscopie e inquietanti esami rettali, quello che era ovvio: che ero un malato di mente.

Il mio dottore di adesso invece è un pezzo di merda da antologia, una sorta di Dr. House  che usa il bastone non per camminare, ma per ficcartelo nelle chiappe. E’ uno che non ti prescrive un esame nemmeno se arrivi col culo che ti sanguina. E’ uno che crede che i suoi pazienti siano un mucchio di coglioni che gli facciano perdere un sacco di tempo, che si inventino una marea di stronzate a cui lui non darà mai il benchè minimo seguito. Per il sottoscritto, capirete, è la manna dal cielo. Da lui arrivo inquieto, e me ne torno liberato, anche se con qualche chilo di autostima in meno. Per gli ipocondriaci B1, un consiglio: provate il Dr. House, ovvero un medico cazzuto e non un firmacarte, e potrete entrare anche voi nella grande famiglia dei B2 per poter finalmente dire: “resto comunque un malato di mente, però solo un pochettino”. Leggi il seguito di questo post »


Trattato breve sull’ipocondria (tomo I)

13 febbraio 2009

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La metà della gente che entra casualmente in questo blog cerca di placare le sue ansie da ipocondriaco, è un dato statistico. Che si tratti della rottura del coccige, prima sovrana chiave di ricerca in assoluto di questi meandri paperopoleschi (e questo per un blogger con un minimo senso di autostima dovrebbe essere così triste da provocare propositi di chiusura immediata) o delle conseguenze funeste del fumo, qua passa un sacco di gente in preda ad ansie per la propria salute. E siccome io ci sono passato, e in parte posso dire di esserne uscito, ecco qui di seguito un agevole bignamino (si, il titolo è “trattato breve”, ma il titolo mi riesce sempre inappropriato per una mia strana incapacità di liofilizzare i pensieri), un bignamino si diceva sull’ipocondria, dove, più che indicare cause o rimedi, mi limito a distinguere antropologicamente alcune categorie, anzi veri e propri “cerchi” di ipocondriaci. E lo farò con  ovviamente con l’accetta maschile. Se volete classificazioni argute e specifiche, sapete su quali blog femminili cliccare.

A) Primo cerchio degli ipocondriaci: quelli che non vanno dal medico.

La prima categoria è senz’altro quella che sta più frecata, proprio per usare un idioma nord-pugliese che calza meglio di qualsiasi vocabolo italiano. In altre parole, il disturbo mentale che falsa totalmente la percezione di sè e del proprio corpo, alimentando paure di morte atroce e/o dolorosa e/o prematura e/o  imminente, è tale da portare non al solo velato timore, ma alla pressochè  matematica certezza dell’evento funesto. Cioè, non si tratta solo di paura. Nemmeno di convinzione. Ma di “esattezza sicurezza”, come diceva quel gran genio del presidente del Monopoli calcio Bellomo (min. 1.30 del filmato).

Cioè il ragionamento è questo: io ho quella malattia. Non, si badi, “credo” o “temo”: “Ho”. E siccome ce l’ho, ed è una malattia mortale (noi ipocondriaci non perdiamo tempo e sudore per qualcosa che sia meno grave di un tumore) io non voglio vivere quello che mi resta con una dichiarazione di morte emessa dal medico. Vivrò i miei ultimi giorni in maniera libera e disperata, come i gigli dei campi, e quando la morte mi chiamerà sarà abbastanza improvvisa da essere anche meno crudele.

Il risultato ovviamente è che per quella settimana o mese in cui crede di avere una malattia mortale, l’ipocondriaco A si consumerà nel bolo del proprio sudore, con due occhiaie scavate con la vanga, inappetenza, diarrea ad intermittenza, disinteresse per il proprio presente, data la sua inutilità in vista dello schiattamento prossimo venturo.

Finita quella settimana o quel mese, l’ipocondriaco A  si sente Lazzaro che si rialza e cammina, e si tromba pure mezza Galilea. Sprizza energia da tutti i pori, tenta di recuperare le cose non fatte, si prefigge di vivere veramente la vita in ogni suo prezioso secondo, di succhiare il solito fottuto midollo della vita. Questo finchè non si risiede in poltrona davanti a Un posto al sole, ogni cazzo di sera, e non spunta uno strano dolorino sotto l’addome. Sarà l’inizio di un altro personalissimo inferno.

B) Secondo cerchio degli ipocondriaci: quelli che vanno dal medico

Risalendo i cerchi degli ipocondriaci, occorre soffermarsi su chi invece, preso dal terrore, corre dal medico. Qui mi permetto di distinguere due sottocategorie, che evidenziano due tipologie di ipocondriaci del tutto opposte tra loro:

B1) Primo sottocerchio: Quelli che vanno dal medico per sentirsi confermare l’autodiagnosi infausta.

Anche loro stanno abbastanza messi male con la capoccia. Sono quelli che prima di andare dal medico hanno scartabellato qualsiasi enciclopedia medica, cliccato su qualsiasi sito medico o paramedico su internet, in lingua italiana, inglese o bulgara, importunato diversi medici dediti a responsi via internet, ed hanno concluso di avere quella malattia. Anche loro sanno di averla, ma a differenza degli ipocondriaci A, hanno maturato questa convinzione scientificamente, sulla base di una accurata interpretazione dei sintomi. Questo, ovviamente, anche se nella vita vera fanno gli addetti allo smistamento dei rifiuti speciali o le maschere nei cinema porno.

Immaginate l’impatto con il proprio medico quando l’ipocondriaco B1 riferisce il tutto, magari leggendo da personalissimi appunti, e si aspetta la conferma della diagnosi. E qui la scelta del medico è fondamentale. Se, come la maggior parte dei medici di famiglia fa, questi coraggiosoni eredi di Ippocrate si limitano a prescrivere qualsiasi stronzata possa mettere a tacere le ansie del proprio assistito, nulla quaestio: il malato immaginario in questione si sentirà convalidato, e paradossalmente il fatto che gli si stiano prescrivendo orribili esami lo fa stare bene. L’ipocondriaco di questo cerchio è infatti convinto di non esserlo affatto, ma di essere solo un ottimo diagnosta. Non potrebbe accettare di essere scambiato per matto. Se invece becca un medico di famiglia che lo manda a cagare, e che gli dice che non gli  prescrive proprio un bel cazzo a spese dello collettività solo per fare contento uno svalvolato come lui, la soluzione è d’obbligo: l’ipocondriaco B1 cambia medico, finchè non trova un altro firmacarte remissivo che lo accondiscenderà in toto.

Esemplificazione di dialogo tra medico e ipocondriaco b1:

Ipocondriaco: “Sa dottore, ho queste fascicolazioni ai polpacci, un po’ di parestesia agli arti superiori, e qualche miclono in varie parti del corpo. Io farei anzitutto una elettromiografia per escludere una possibile SLA”.

Dottore: “Ma sa che ha ragione, potrebbe essere una diagnosi azzeccata, potrebbe proprio avere quella terribile malattia che la invaliderà totalmente nel giro di 6 anni. Le prescrivo subito l’esame”.

Ipocondriaco (trionfante, che si piega su un ginocchio agitando avanti e indietro il braccio a pugno chiuso): ” MA VIENIII! MA CHI SONO IO?! UN DRAGO DELLA MEDICINA!! “

(continua…)


Le sette stelle di Okuto

11 febbraio 2009

ken

La mia ipocondria light, come la chiamo io, è sempre stata un intelligente stimolo alla conoscenza del mio corpo. In altre parole, non ho mai lasciato al caso sintomi, malesseri, piccoli fastidi, premurandomi di intercettarli e pacificare la mia ansia. Mal di testa, mal di pancia, tremori muscolari, dolori articolari, pruriti inguinali. Ogni cosa è stata risolta con la conoscenza e la presa di coscienza. La mia, in altre parole, è una ipocondria che tenta costantemente la strada della razionalità.

Peccato che, tra le mille stronzate corporee per le quali mi sono angustiato, investendo ogni volta di paturnie familiari medici e notai (in prospettiva testamentaria), l’unico pericolo reale che incombeva sulla mia salute io lo abbia   bellamente ignorato per circa 22 anni della mia vita.

Parlo dei nei. E parlo del melanoma. Uno di quei tumorelli che se lo becchi subito bene, sennò ti ritrovi a suonare l’arpa in paradiso nel giro di un anno. O a spalare carbone presso padron Satana, a seconda dei destini.

Un giorno di dodici anni fa, mentre ero dal dermatologo a fargli vedere i funghi ai piedi rimediati nella  merdosa piscina/cloaca da me allora frequentata, quel menagramo se ne uscì con:

“Ma guarda quanti nei hai sul dorso! Te li sei mai fatti vedere? E poi sei biondo, occhi chiari, pelle chiara, è il classico target delle persone a rischio. Uh che brutto questo! E quest’altro, togliere subito! E questo qua? Hai per caso visto se è cresciuto negli anni? E guarda questo, quant’è grosso! E questo, così irregolare!”

Inutile dirlo, mi cagai addosso seduta stante e dieci giorni dopo ero lì, in prima fila all’ospedale, col numerino da agitare ansioso per farmi notare dal primo segaossa di passaggio, pronto a farmi togliere le prime losanghe di pelle per scongiurare l’infausta dipartita. E così tanto ardevo e smaniavo per farmi togliere nei su nei che commisi, in quella prima occasione, tre errori agghiaccianti che non avrei ripetuto mai più, e che sconsiglio a chiunque, tra i miei lettori, un giorno sarà chiamato a farsi asportare qualcuno di questi simpatici e negretti amici adesi alla nostra pelle.

1) Preso dalla foga, mi prenotai per togliere non uno, ma, sboron degli sboroni, ben due nei nella stessa seduta! Uno dietro la schiena, l’altro sul costato. Mi misi a quattro di mazze  sul lettino e dissi: forza, apritemi tutto….Il risultato? Con 4 punti di sutura dietro e 3 davanti, la posizione più comoda che potevo assumere per dormire durante la prima settimana era di inchiodarmi la testa e le ginocchia ad un muro, e dormire disperatamente in piedi.

2) Preso dall’ansia, inoltre, non mi accorsi che era l’inizio di luglio. E togliersi un neo d’estate significa non poter prendere sole e sopratutto non poter fare il bagno per almeno 15 giorni. Me la ricordo ancora quell’estate del 1997, calda come le fornaci dell’inferno, a guardare sotto l’ombrellone i miei fratelli o i miei amici ammazzarsi dal divertimento nelle subtropicali spiagge di Torre Lapillo, a provarci con procaci fanciulle (ed io ero single da manco un mese dopo 5 anni di fila e, credetemi, anzi  scusatemi per la grezzaggine, è sopratutto in quel momento che ti tira come mai nella  vita).  Allo sfigato Paperoga gli toccava invece leggere “Sostiene Pereira”, con un panama in testa che sembrava l’uomo del Monte, bianco in faccia come la cocaina, le balle che fumavano, con due cerottoni che pareva mi avessero sparato durante una rapina, attraente solo per le vecchie virago che giocavano a burraco al mio fianco e sorridevano sguaiate col cerone in volto che si disfaceva a 40 gradi all’ombra. Leggi il seguito di questo post »


La ballata dell’immortale (o dell’ipocondria)

20 gennaio 2009

allegrochirurgo3

Non morirò. Sono sopravvissuto troppe volte per poterlo credere. Il mio corpo è stato invaso da decine di malattie mortali e sono guarito, senza che mi rimanesse alcun segno. Ne ho le prove, sono vivo. Le mie forze, indebolite dal morbo, hanno ripreso ogni volta il solito vigore, e le diagnosi infauste sono rimaste profezie di sventura clamorosamente smentite.

Ho avuto decine di tumori, in ogni parte del corpo. Malattie degenerative che mi avrebbero ridotto invalido e muto in pochi anni. Malattie infettive che avrebbero aggredito e spazzato via il sistema immunitario. Molto di ciò che viene ritenuto incurabile e nefasto, io l’ho vinto, e sono ancora una volta sano e qui. Ho sconfitto il tumore con qualche supposta, la malattia infettiva con una pillola e un bicchiere d’acqua, la malattia progressivamente invalidante con qualche arancia. Nessun ospedale, nessuna cura invasiva, ho fatto spesso tutto da solo, senza medici o medicamenti. Il mio corpo è spesso guarito spontaneamente, le cellule rigenerate. La vita, all’improvviso messasi sulla via del tramonto, risorta ancora e poi ancora.

Su di me si abbattono le sventure e si concentrano i miracoli, si accaniscono i dolori e si moltiplicano le salvazioni. Sono un trait d’union tra il non senso della malattia improvvisa e il senso gonfio e ineffabile di un intervento misterioso ed esterno, che sposta di peso il destino. Dopo ogni malattia vinta, ho donato il mantello a chi quel male lo combatteva, iscrivendomi ad associazioni su associazioni. Nessun ente che combatta le malattie che ho avuto può lamentarsi di non aver ricevuto il mio contributo.

Seppure la gente, nel sentirmi raccontare della mia prodigiosa vita, scuota la testa dubbiosa o sorrida di compassione, seppure questa condizione irripetibile di sacertà corporea mi abbia estraniato dagli altri, il guarire ogni volta, lo svegliarmi al mattino vivo e intonso, dopo che la notte prometteva una morte imminente, mi hanno infuso la potenza sovraumana del sopravvissuto, una sensazione di sempiterna immanenza che mi rende oggi cosciente di poter vivere in eterno.