Quando circa dieci anni fa ebbi una illuminazione musicale sulla strada di Duluth, e di colpo scoprii Bob Dylan, fu come succede spesso quando mi innamoro delle cose: una cotta pazzesca, un vorace recupero di quel che mi ero perso in passato, e l’esaltazione di una delle mie capacità più nascoste e meno usate, quella di diventare un esperto di qualcosa in brevissimo tempo (ma mi capita solo con le minchiate, mai che mi serva a qualcosa..). Rimaneva solo da ritagliarmi l’occasione di vederlo dal vivo. A quei tempi Bob stava per compiere 60 anni, e qualcosa in me sussurrava che era meglio che mi sbrigassi, perchè non mi fidavo troppo delle capacità di resistere al tempo di uno che della vita aveva succhiato il midollo e non solo quello.
Venne dunque a Brescia nel 2001 ed io mi infilai in macchina e mi fiondai nella città lombarda. A quei tempi non esistevano manco le mappe di google, dunque non volendo parcheggiare a pagamento lasciai la macchina in un posto che ritenevo periferico ma non troppo. Il risultato, disastroso, fu che ci vollero 3 km a piedi per raggiungere Piazza Duomo, e che al mio ritorno mi ritrovai la macchina bella che svuotata di chiavi ed autoradio, dato il luogo isolato e bronxesco in cui l’avevo mollata. Diverse madonnine di civitavecchia piansero per quel che tirai di bestemmie.
Ma il concerto fu meraviglioso. A parte che, per una botta di culo, gli organizzatori radunarono una ventina di giovani (a quei tempi lo ero anch’io) che avevano il posto in piedi lontano dal palco, per ficcarli in posti a sedere praticamente incollati al culo secco di Bob. Volevano che facessimo casino, che applaudissimo, perchè Bob odiava una platea gelida di adulti, ci dissero.Quando entrò vidi quel folletto invecchiato con le gambe minute che ciondolavano al ritmo delle pennate della chitarra, e la voce, dio la voce, ecco tanto per capirci la voce di Dylan è la voce che avrebbe dio nel giorno del giudizio. Potente, graffiante, carta vetrata purissima, implacabile e capace di guizzi di dolcezza quando è in forma.
A distanza di quasi dieci anni da quella serata di luglio, e dopo tanti altri concerti in giro per ville venete, palazzetti milanesi e bolognesi infine piazze pistoiesi, ecco che Dylan mi usa la cortesia di suonare nel parco di Parmaperopoli, a due passi da casa.
E’ una serata fresca e ventosa, si vedono gli appennini dai ponti del fiume che pare di stare in un’altra città. Arrivo in bici da casa agghindato per le occasioni di prestigio, ovvero maglietta e pantaloncini come al solito. Sul Ponte delle Nutrie, punto di ingresso nel parco, ci sono un paio di fricchettoni che suonano la chitarra abbozzando biechi giri di blues e chiedono qualche spiccio. Mi ha sempre stupito trovare ai concerti di Dylan quel che ti aspetteresti più che altro per mancanza di fantasia, ovvero un seguito di hippie anni ’60 col loro furgoncino colorato col segno della pace. E invece ci sono davvero, olandesi, inglesi, francesi, uomini bellissimi con la barba bianca e donne che ventanni fa dovevano essere delle semidee, quadretti anacronistici ma in modo piacevole, è come vedere i miei genitori così come mi sarebbe piaciuto che invecchiassero, sereni, distesi in volto, contenti di essere dove sono. Leggi il seguito di questo post »