Outside the museums (§4)

21 febbraio 2009

umiliati-e-offesi

Egli si alzò, la sollevò dalla poltrona e se la strinse forte al cuore.

“Adesso, eccola qui, sul mio cuore”  – esclamò. – “Dio, Ti ringrazio! Ti ringrazio per tutto, per tutto: per la tua collera e per la tua misericordia! … E per il tuo sole che adesso, dopo la tempesta, torna a risplendere su di noi! Ti ringrazio per questo momento! Ah, che importa se siamo umiliati, se siamo offesi, purchè stiamo di nuovo insieme e trionfino pure i superbi e i prepotenti che ci hanno umiliati e offesi! Scaglino pure la pietra contro di noi! Non temere Nataša…Andremo loro incontro, tenendoci per mano, e io dirò: ” Questa è la mia cara, la mia diletta figliuola, la mia figliuola innocente che voi avete offeso e umiliato, ma che io amo e benedico nei secoli dei secoli!…”

L’ingorgo di intrighi, stretto e chiaroscurale, che ha provato a soffocare la vita della famiglia di Nikolai Sergeic Ichmenev, scompare all’improvviso. Ma non perchè non si sia consumato vittoriosamente la trama perfida del principe Valkovskij, teso ad umiliare padre e figlia. Ma perchè la profonda umanità dei personaggi che si aggirano nei vicoli di San Pietroburgo, i loro legami messi alla prova dalla cattiveria del potente di turno, la loro profonda tensione verso il bene, alla fine prevalgono in un lieto fine non stucchevole, perchè il prezzo lo si paga comunque. Il prezzo del rimpianto per gli errori commessi, per il tempo perso, per un amore che non riesce a sorgere ancora, per una straziante morte in epilogo che chiude il cerchio della commovente morte iniziale. Nelle trafelate notti di San Pietroburgo, mentre l’intrigo si consuma e i fili vengono tesi a braccare i vinti, i personaggi apparentemente minori del romanzo breve si stagliano su queste pagine piene di ombre ed angoscia. La piccola Nelly su tutti, la sua storia, la sua malattia, il suo passato di abusi e miseria nera, la sua furia autodistruttiva e quel bisogno di amore impresso a fuoco nelle lacrime e nelle grida che rivendicano mute, fino alla fine, una qualunque giustizia.

Tutta intorno a Vanja, testimone morale e sguardo dello scrittore sul turbine di ingiustizie e clamori soffusi, di maledizioni familiari e riconciliazioni evangeliche, si affolla e si lamenta poi, con straordinaria dignità, quella povertà sciamante che pare quasi un respiro solo, nei vicoli male illuminati, davanti ai vetri dei negozi di dolciumi, negli appartamenti affollati destinati a bordello di minorenni, nel barcollare ormai finale di un vecchio che “con passo lento e malfermo, movendo le gambe come fossero pertiche, quasi senza piegarle, ingobbito, picchiando il bastone sulle lastre del marciapiede” si avvicina ad una pasticceria poche ore prima di morire.

Tra i suoi romanzi minori, uno dei più riusciti. Dostoevskij riesce a dipingere i meravigliosi squarci delle notti cittadine, e forse solo in Delitto e Castigo riesce a superarsi e a rendere ancora più affascinante quell’immenso palcoscenico di un continuo romanzo di appendice. La perfidia di alcuni, persino l’ingiustizia mulinante dei trabocchetti e dei colpi di scena, scompaiono di fronte a quel fiducioso cristianesimo antico con cui l’autore carica di umanità i suoi personaggi, permettendogli alla fine, nonostante le ferite visibili e le morti, di poter  sperare, non senza tremore, in una nuova alba sopravvissuta alle tragiche notti di San Pietroburgo.


Outside the museums (§2)

7 febbraio 2009

1735_sunsetlimited_1212375560

Sunset Limited

“Io non ci credo in Dio. Lo capisce, questo? Si guardi intorno, amico mio. Non lo vede? Il frastuono e le grida della gente che soffre saranno musica per le orecchie di Dio.  […] La comunanza di cui lei parla è basata solo e soltanto sul dolore. E se quel dolore fosse veramente collettivo invece che soltanto ripetitivo, il suo peso basterebbe a staccare il mondo dalle pareti dell’universo e a farlo precipitare in fiamme in mezzo a quel po’ di notte che saprebbe ancora generare prima di ridursi a un nulla che non è neppure cenere.”

Lo scontro è ormai alla fine. Con queste parole il colpo definitivo è assestato, il nero crolla, non sapendo più opporre resistenza. Qualche pagina dopo, l’incontro si concluderà, e non sarà un pareggio. Il nero ci ha provato, saltellando attorno al bianco per tutto il tempo, cercando di prenderlo per sfinimento, ma la caccia si è invertita, e l’assediato ha preso possesso del tappeto pian piano. Ciò che era nato come un tentativo di far redimere un povero aspirante suicida alla stazione dei treni, diventa per il nero una insopportabile decostruzione delle certezze che il Libro gli porge come salvezza per sè e per l’altro. E l’ateismo del bianco, la cui lucidità, la cui purezza in alcuni momenti ricorda il Kirillov insonne dei Demoni dostoevskjiani, ha modo di spaziare distruggendo ogni speranza, chiudendo ogni varco dal quale Dio, attraverso il nero, possa ancora provare a passare.
Si sa dall’inizio che, arbitro Mccarthy, non potrà andare in altro modo. La fede, nei suoi romanzi, è un amuleto potente, ma non regge mai l’incontro con il male insensato. Mai. E’ una lotta impari questo scontro teatrale, questa storia didascalica che solitamente lo scrittore inserisce nei suoi romanzi in quelle storielle paradigmatiche e misteriose raccontate dai suoi protagonisti. E’ come se fosse un estremo tentativo dello scrittore stesso di superare la sua rassegnazione ed arrivare ad una catarsi. Il suo ateismo annichilente trova espressione compiuta, nonostante lui stesso provi, attraverso il nero, a sollevare obiezioni a se stesso tramite argomenti forti, fatti però solo di pastosa speranza, che si sfalda di fronte al granito delle certezze nichiliste del bianco.
Non ci riesce, infatti. Il racconto scivola veloce verso la sconfitta, del nero, del bianco, di noi tutti, credenti e atei, di fronte all’unica conclusione che può aspettarci, soli e senza alcun Dio d’attorno.
E’ come se questa piccola pièce teatrale ci fornisse una lettura diversa e illuminata delle abnormi bassezze del pensiero morale del giudice Holden, della fine straziante ma necessitata di John Grady Cole, del lungo e pensoso sunset boulevard del suo compagno Billy Parham, e di tanti altri personaggi dei suoi romanzi abbandonati da un Dio che, semplicemente, è mancato in partenza.