Qualche giorno fa era il compleanno di Paperoga. Tanti cari auguri e almeno altri 70 di questi giorni. (Al lettore che prova a darmi gli auguri nei commenti, mille anni di sfiga.)
Essendo una persona abbastanza scontata e di molto rientrante nella media, anche il sottoscritto tollera a malapena il giorno in cui compie gli anni. E’ una giornata di lieve imbarazzo, non sai perchè e non sai percome, però c’è una sapida tensione nell’aria, come se qualcosa fosse fuori posto o tu fossi fuori luogo. Nel mio caso, la spiegazione è semplice: essendo uno che cerca di sempre di evitare di essere messo, anche di sguincio, al centro dell’attenzione, anelando da sempre all’invisibilità e all’impalpabilità agli occhi del mondo esterno, il giorno del mio compleanno mi restituisce lampi di attenzione sotto forma di telefonate fotocopia, abbracci asfittici, auguri di stile e regali mai troppo apprezzati di cui farei volentieri a meno. Il compleanno perfetto lo passerei al mare, con una canna da pesca, in spiaggia ad aspettare le prime mormore di primavera, da mattina fino a sera, con un paio di panini, gorzonzola e pomodoro l’uno, peperoni sott’olio e mozzarella l’altro. E qualche birra.
Ma torniamo alla realtà. Che si appalesa già da subito, sottoforma di squillo di cellulare, che ho ancore le cispe negli occhi e ciabatto alla ricerca della caffettiera. E’ mia madre, ovviamente, che vuole raccontarmi per l’ennesima volta che, trenta e passa anni or sono, in un ospedale lontano lontano, io facevo i capricci per nascere, e venni fuori solo dopo un parto cesareo e migliaia di ore di travaglio. Ogni anno è la solita storia, a volte arricchita da particolari credo inventati, ma è comunque un messaggio subliminale fisso che mi viene recapitato: anche prima di nascere rompevi il cazzo. Finita la favoletta mia madre tenta di passarmi mio padre, che è come me, dei compleanni se ne fotte e non riesce altro che a ciancicare un forzatissimo “auguri paperoga” lontano dalla cornetta, con mia madre che inorridisce ogni volta di fronte a cotanta insensibilità di fronte al suo bambino che sta crescendo.
La mattinata in realtà procede abbastanza bene: non mi telefona nessun altro. Ricevo solo montagne di mail commerciali che mi augurano buon compleanno: ebay mi offre un’inserzione gratuita, nintendo mi dà 50 punti stella, eplaza mi offre il 5% su tutti i prodotti (ammazza vi siete sprecati perdio). Sono circondato da amici sotto forma di siti di e-commerce che attorno a me fanno il cerchio dell’amicizia e mi vogliono tanto bene, questo mi conforta. Nella realtà c’è un silenzio di tomba attorno, e anche questo mi conforta.
Inoltre, oggi arbitro di pomeriggio, perchè è una domenica come tutte le altre, niente di meglio che qualche camionata di vaffanculi in due ore per ricordarmi che non c’è proprio niente da festeggiare. La rottura di scatole, se così la si vuole chiamare, è data dalla pioggia che solca l’Emilia ormai da due giorni. Sono abbastanza fiducioso di evitarmi l’arbitraggio, confido che mi capiti un bel campo di patate allagato e fangoso, e possa bellamente sospendere la partita per impraticabilità come da regolamento.
Ma la legge di Murphy è sempre incinta di assiomi empirici , ed uno di questi recita: “se piove molto e non ti va troppo di arbitrare, il tuo campo da gioco sarà perfettamente drenato che manco Wembley“. Puntualmente, accade. Arrivo al campo e sta piovendo che dio la manda senza soluzione di continuità. Mi cambio, indosso giacchetta nera e scarpe coi tacchetti, e chiedo un pallone per la verifica del campo. Con un ombrello aperto in una mano e il pallone in un’altra sembro tanto Collina a Perugia, ma questo è un ricordo che solo noi juventini possiamo capire e che mi provoca un conato di vomito. Il campo è perfetto, a parte qualche pozzanghera in prossimità del dischetto del rigore, il pallone rimbalza che è una bellezza. Il custode è tutto contento accanto a me, segue divertito i miei disperati tentativi di far palleggiare la sfera su qualche cazzo di pozzanghera e mi dice: “Oh, signor arbitro, visto che terreno? Dovrebbero chiamarmi a San Siro, non trova?” Io sorrido al (troppo) zelante giardiniere, e lo ringrazio apertamente di esistere, segretamente tirandogli decine di cancheri. Rinuncio, si gioca, mi tocca prendere acqua in divisa e pantaloncini per quasi due ore. Leggi il seguito di questo post »