Fenomenologia del concorsista (capitolo II, Antropologia)

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Al di là delle provenienze geografiche, il concorsista rimane una creatura affascinante a prescindere. I motivi per cui partecipa ad un concorso sono spesso vaghi, inconcludenti, o viceversa figli di un progetto ben preciso. A volte, nipoti della disperazione. All’atto di spedire la raccomandata, egli sa che sta per imbarcarsi su un carrozzone che avrà tempi biblici, rinvii a cascata, correzioni interminabili, graduatorie rimandate, cancellate, annullate e poi riscritte, e infine assunzioni scaglionate nel tempo. Chi si iscrive ad un concorso oggi, sa che se lo vince sarà assunto tra 5 anni minimo. Chi cazzo gliela fa fare?

La risposta la conosciamo tutti, e si chiama posto fisso. E’ il sogno di poggiare il culo su una sedia, la stessa sedia (preferibilmente non una diabolica sedia stokke) per tutta la vita, percepire uno stipendio sicuro, tendenzialmente basso ma sicuro, tendenzialmente sempre quello ma sicuro. E’ un sogno di merda per tutti quelli che hanno progetti più alti nella vita, o per chi ha velleità artistiche, o sogni da realizzare, o vuole anche solo provare l’ebbrezza e il rischio della libera professione.  Le persone che si ritengono dotate di talento, le persone coraggiose, le persone che aspirano ad elevare la loro esistenza dalla piattezza del consueto, fanno bene a rischiare del proprio e a mettersi in gioco.

Per tutti gli altri c’è il posto fisso, meglio se pubblico.

Non potrai certo realizzarti professionalmente, ma almeno avrai le porte spalancate per un mutuo. Non potrai certo realizzare chissà quale progetto lavorativo, ma avrai tempo libero sufficiente per realizzarti in altro. Non potrai creare nulla di tuo, nè sentire dentro il sacro fuoco dell’intuizione divenuta successo, ma le tue ferie saranno tutte pagate, a Natale avrai la tredicesima.

La vita si distingue tra chi osa e chi si fa due calcoli, tra chi non riesce a concepire di poter ambire alla sola sopravvivenza e chi ha il terrore di trovarsi alfine con il culo per terra.

Ecco il premio di queste lotteria, la sopravvivenza garantita, nulla di più, nulla di meno.

Se il premio è questo, come ce la si fa? Quale l’atteggiamento, lo stato d’animo, le reazioni emotive del concorsista medio durante questa lunga traversata nel deserto, tra bandi e preselezioni, scritti orali graduatorie e lettere di assunzione?

Durante la mia lunga esperienza concorsuale ho imparato a distinguere alcune categorie, che vi propino tosto senza presunzioni di completezza:

1) Il concorsista in preda al panico

Il concorsista in preda al panico si sta giocando l’intera sua esistenza. Che siano le preselezioni, gli scritti o gli orali, la sua faccia tradirà muta disperazione. Il maschio suda copioso, ho visto ascelle pezzate e schiene adese alla pelle davanti al mio banco, e puzze rancide che ti viene da lacrimare. Scorte di medicinali, perchè hanno sempre la febbre o credono di averla. La femmina invece piange, e se non escono lacrime il suo sguardo non è meno impegnato nello sforzo di farlo. Si guarda intorno attonita, alla ricerca di un gancio in mezzo al cielo. Sia il maschio che la femmina sfogliano il manuale fino all’ultimo secondo, furiosamente, sentono bisbigliare in giro di possibili argomenti e quello sfogliare diviene ancor più compulsivo, nevrotico, violento. Al momento della dettatura del tema, il momento cruciale di qualsiasi concorso, guardano il presidente della commissione come si guarda iddio quando ci giudicherà alla fine dei giorni con san pietro chiavi in mano al suo fianco. Dopo la dettatura, qualsiasi sia il tema, si accascia sul banco, o piange, o fissa davanti a sè invocando il teletrasporto verso casa.

2) Il concorsista truffatore

Piccola premessa. Solo in un paese di merda come il nostro chi copia durante un concorso non è ritenuto un truffatore, ma un simpatico furbacchione che si industria alla bene meglio. Negli USA, e alcune illustri puntate di Beverly Hills 90210 ce lo confermano, copiare in un compito in classe ti fa rischiare l’espulsione e il college, perchè giustamente, nel paese dove la competizione è sfrenata ma le regole sono ferree, chi cerca di fare il furbo viene simbolicamente impiccato con i ladri di bestiame nel far west.

Da noi invece chi si porta cartuccere degne di un pistolero, o fotocopie ridotte di manuali e codici commentati, per non parlare di veri e propri tomi manco troppo nascosti nello zaino, è solo uno che cerca di farcela con i mezzi che possiede, e siccome non ha potuto/voluto studiare, oppure è analfabeta, pensa bene di ricorrere ad ingegnose scorciatoie per metterla in quel posto a chi si è spaccato il culo sui libri.

Beh, signori, Paperoga vi starà simpatico un po’ meno da oggi, ammesso che lo sia mai stato. Perchè io i truffatori li denuncio come il più merdoso degli spioni. Li faccio sbattere fuori a calci dai concorsi, se me ne capita l’occasione. In realtà non mi è mai capitata, però una volta beccai una ragazza accanto a me che dopo una mezz’oretta cominciò ad armeggiare con le mani dentro le tasche, la borsetta, il maglione. Aveva fotocopie di un manuale che conoscevo bene, e che sull’argomento del tema diceva tutto. Era ad un metro da me, allungo il collo e le bisbiglio:”Metti via quel cazzo di manuale ovvero quanto è vero cristo che chiamo il presidente della commissione“. Lei mi ha ignorato la prima volta, forse borbottando qualche vai a fare in culo. Poi mi ha guardato meglio, e quello che le avevo detto gliel’ho sillabato con una tale seria ferocia che lei è passata alla fase del mercanteggio promettendomi di passarmi le nozioni. Alla terza minaccia, ancor più scandita, la ragazza ha rimesso tutto a posto, ha aspettato minuti, decine di minuti perchè io mi distraessi, ma io la fissavo ogni dieci secondi facendole capire che con me le era andata malissimo. Dopo un’altra mezz’ora la ragazza ha preso le sue cose e si è alzata, trattenendo le lacrime, mi ha mandat affanculo un po’ di volte livida di odio, ed ha abbandonato la prova.

Un’altra volta, al concorso di magistratura dell’anno scorso, un signore sui 40 anni si lamentava di un precedente allontanamento di una ragazza sorpresa a copiare, perchè per lui era una vergogna che ci fosse gente che ancora ci provava e che quello era un concorso per fare il magistrato ed era inconcepibile che ci fossero truffatori. Dopo un’ora venne beccato in bagno dalla polizia penitenziaria con mezzo manuale di diritto civile accartocciato dentro le calze e dentro le scarpe e nelle mutande. Passo scortato dai baschi celesti, e non ebbe il coraggio di guardarci.

3) Il concorsista che ostenta sicurezza

Non è detto che chi ciarla tanto di quanto sa e di quanto si dovrebbe sapere per passare il concorso, sia un raccomandato. Il raccomandato è una figura trasversale, può essere in preda al panico, può portarsi manuali da casa, può ostentare sicurezza, ma il più delle volte il raccomandato è un silenzioso killer che nell’ombra, e senza che nessuno se ne accorga, sta ammazzando la serietà e la legalità del concorso, sapendo che ce la farà, e guardandosi attorno con l’aria del gatto che sta per mangiare il topo. Colui che ciarla tanto invece è solo un rompicazzo che nella vita non sa trattenere il fiato e che sfianca i suoi compagni di banco con migliaia di stronzate riguardanti la materia del concorso, instillando dubbi e insicurezze sui chi lo circonda, e attirandosi maledizioni incidibili da me che mantengo la calma e sedo l’ansia facendomi i cazzi miei e leggendo tex. Un paio di volte mi sono annotato il nome del signor “so tutto” di turno, ed entrambe le volte non l’ho mai visto comparire in graduatoria. Un “sola”, come volevasi dimostrare.

Infine, la domanda più importante che si pone il concorsista quando decide di cominciare la grande avventura: ma un concorso pubblico, lo si può vincere? Anche se non si è raccomandati? Anche se non si tenta di truffare? Oppure è solo una perdita di tempo? La risposta, a sfatare un mito luogocomunista, è si, si può vincere. La quota raccomandati solitamente copre una percentuale medio-bassa di concorrenti, (a meno che non tentiate concorsi universitari o negli ospedali, lì vi vorrete solo del male): il resto è di chi se lo prende. Di chi è bravo a memorizzare quei fottuti test preselettivi a memoria, di chi è bravo a scrivere, di chi si ricorda come si prepara un orale. E di chi ha un bel culo sfondato, certo, perchè per vincere un concorso deve girare tutto giusto. Però alla fine ce la si può fare.

Dopo tre anni dalla prima raccomandata spedita, nel novembre dell’anno scorso ho sostenuto l’ultimo orale dell’ultimo concorso. E’ andata bene, ed anche un altro in precedenza era andato bene. Da qui ad assumermi passeranno anni, e forse rinuncerò ad entrambi i posti nel frattempo, chi lo sa. Però ce la si può fare, anche senza santi in paradiso. A patto che a 30 anni dopo una laurea e forse un master o un dottorato vi vada ancora di studiare, di affrontare la tensione connaturata ad ogni prova, ad ogni esame, ad ogni tema da scrivere. A patto che accettiate treni su treni della speranza, e la muta concorrenza con altri disperati, e la sensazione di sfilare come carne da macello in quelle preselezioni da palasport in un paese che non ti vuole concedere nient’altro.

E a patto sopratutto che accettiate che il premio per tutto questo non è altro che la sopravvivenza. Nè più, nè meno che la sopravvivenza. E posso capire che per molti di voi non ne valga la pena. E che possiate guardare con un misto di pietà e di orrore chi si sbatte per anni per ottenere nient’altro che un fottuto cartellino.

1 Responses to Fenomenologia del concorsista (capitolo II, Antropologia)

  1. francesca ha detto:

    confermo: i raccomandati stanno zitti

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