La ballata della vescica gonfia

19 aprile 2012

Mi pare di aver già scritto da qualche altra parte di un’altra mia disavventura vescicale, ma tanto fa, beccatevi anche questa.
Ordunque mi trovavo nella ridente Reggaemilia, mia originaria patria emiliana adottiva, per accompagnare Sunofyork ad una visita medica. Decido di aspettarla fuori dal centro medico, un po’ cazzeggiando in macchina, un po’ passeggiando lungo i viali alberati proprio vicino alla mia vecchia casa. Fatto sta che passano dieci, venti minuti, trenta, e mi accorgo ho bisogno di orinare. Dopo i trenta il bisogno diventa esigenza pressante. Dopo i quaranta diviene emergenza.
Niente panico, mi dico, sono in piena città, e si tratta di una città che conosco come le mie tasche. So esattamente dove andare. Tra cinque minuti sarà tutto risolto.
Quanto mi sbagliavo.

Primo tentativo di orinare: il discount.
Accanto al centro medico c’è un discount. Ci sarà un bagno come in tutti i supermercati, mi dico. Facile, entro, fingo di guardare gli scaffali, e mi infilo in bagno. Manco per niente. Di bagni non c’è traccia. Si risparmia sui prezzi, ma anche sui vespasiani. Come non detto. Esco senza comprar nulla. La situazione è mediamente grave ma sotto controllo. Ogni tanto sotto il lungo cappotto do una aggiustatina alle pudenda per anestetizzare qualunque bisogno impellente.
Secondo tentativo di orinare: il fiume.
Si avete capito bene, il fiume. Nsomma, poi, chiamiamolo torrentello. Ad ogni modo, accanto al discount c’è un corso d’acqua con tanto avvallamento e greto, il che promette, tra le frasche degli alberi adiacenti all’acqua, una tranquilla e discreta pisciata senza incorrere in denunce per atti osceni. Mi infilo dunque nel sentierino scendendo verso il fiume, sono pronto lì a sbottonare già la patta, che davanti a manco 5 metri mi si para la scena di due spacciatori intenti, tra i cespugli, a scambiarsi dosi e denaro. Facce lombrosianamente dedite all’omicidio a sangue freddo. Mi pianto immobile, e subito a passo di gambero retrocedo risalendo il sentiero, sperando la madonna che non mi vedano. Le possibili evoluzioni della situazione vanno da quattro semplici vaffanculi da parte dei simpatici commercianti, del tipo “razza di mattacchione, accipicchia che spavento ci hai fatto prendere” fino a una bella seguitata punitiva a caccia dello spione allo scopo di chiudergli la bocca per sempre e buttarlo nel fiume assieme alle nutrie.
Evidentemente la mia ritirata è così silenziosa che nessuno si accorge di niente. In quei trenta secondi, e solo per quei trenta secondi, scompare qualsiasi bisogno di orinare. In compenso mi sono quasi cagato addosso.
Terzo tentativo di orinare: il bar.
Cammino sempre più a chiappe strette, tenendo a bada l’impianto di irrigazione quasi fuori controllo. Mi dico ma come diavolo non ho fatto a pensarci, vai in un qualsiasi bar, prenditi un crodino e sfogati nel loro cesso, no? Bene. Conosco un paio di bar nella zona, mi ci appropinquo. Il primo è chiuso. Il secondo è chiuso. Me ne ricordo un terzo, ma è diventato una gelateria (e nelle gelaterie non ci sono bagni, vai a capire perchè). Continuo a vagare. Cominciano a levarsi lamentazioni sorde dalla mia bocca. Richieste di aiuto. Piccole stille di disperazione. Incrocio fiorai, tabaccai, macellerie equine, due ferramenta, un riparatore di orologi e un calzolaio. Sono pronto ad acquistare qualunque prodotto in qualunque negozio abbia un bagno per clienti. Una roncola, un controfagotto, una bambola gonfiabile, compro qualsiasi cosa per un cesso. Niente. Le chiappe sono sempre più strette, e sotto il cappotto comincio a tenere stretto ad intermittenza lo strumento che noi maschi usiamo per fare la pipì.
Quarto tentativo: una bottiglietta. Leggi il seguito di questo post »