Kay Inghilterra è un cittadino del mondo

In una strada del centro storico, in qualunque ora del giorno di questa tarda primavera, sui marciapiedi e le isolate panchine di metallo ciondolano seduti crocicchi di immigrati. Parlano animatamente lingue sconosciute, ridono sguaiatamente e alle volte puoi notare le donne di colore abbozzare dei passi di danza al ritmo di pop music americana. I kebab sono semipieni, e persino gli odori sgocciolano fuori dal locale dalle carte bisunte e dalla finzione d’agnello rasata per l’occasione. Nei pomeriggi liberi gironzolo spesso in bicicletta attorno al quartiere, ed ho notato da diverso tempo che proprio in mezzo a questa stada c’è un cortile con un piccolo giardino maltenuto, all’interno del quale c’è uno stanzone quadrato che funge da minimarket africano. Appena dentro il cortile, seduto su una sedia di legno e appollaiato come un mezzobusto ubriaco su un pesante bancale di legno, c’è un tizio con un faccione butterato ed enormi occhiali da sole che fissa sempre l’esterno giorno sorridendo. Sotto il bancale c’è scritto con una vernice rossa “Kay Inghilterra”. Contro ogni evidenza e in spregio al buon gusto, pare sia il suo nome.

Non so di preciso quale sia il ruolo di Kay Inghilterra nel minimarket. Anzitutto, lui non mi pare per nulla africano. Intorno a lui invece è uno sciamare di nerissimi bambini che si rincorrono nel cortile, e dentro il tutto è gestito da un paio di donne ipercinetiche, madri di quasi tutti i marmocchi, che nei confronti del vecchio mostrano un rispetto quasi familiare. Come una famiglia disneyana piena di soli nipoti e zii, qui mancano i padri, e Kay Inghilterra con fare quasi padrinesco li sostituisce tutti, sorseggiando strani intrugli che a brevi intervalli una delle due donne rifornisce portando via il vuoto.

Kay Inghilterra veste di una camicia a quadri colorata e jeans, sembra un improbabile boscaiolo avvolto da enormi occhiali neri che pare Ray Charles, e involontariamente imitandolo a volte tamburella le nocche sul bancale, oscillando con la testa e sorridendo. Il quartiere mi pare diviso sulla sua figura, Temuto e rispettato da molti, i giovani entrano nel market non senza salutarlo e scambiare qualche parola, ottenere furtive autorizzazioni o semplici preziosi consigli. Altri invece passano dall’altra parte del marciapiede dando un’occhiata furtiva e bisbigliando qualcosa. In effetti Kay Inghilterra potrebbe passare facilmente per il boss del quartiere o per il principale informatore della polizia, e forse non escludo che dietro quegli occhiali si nascondano entrambi. Che poi, per dire, non escludo che qualcuno di quei bambini sia proprio suo, ha l’aria di chi non ha ancora smesso di sforzare i lombi.

Tempo fa mi sono fermato come faccio spesso ad osservare quello spaccato di Lousiana in piena Emilia, e Kay Inghilterra, cui non sfugge niente, mi ha chiamato e indicato col dito.

“Ehi, ragazu, vieni qua, non aver paura, non ti mangia nessunu“, e giù la risata.

Entro dunque nel cortile, nascondendo l’imbarazzo. Kay Inghilterra non è africano, il suo accento è chiaramente brasiliano, e qui i misteri su come faccia a parlare coi ghanesi e i nigeriani si infittiscono, oltre a quello sul che diavolo ci faccia un brasiliano a gestire un minimarket africano circondato da marmocchi africani e da probabili mogli sempre africanissime. Anche ora che ho lasciato lo Studio Cavaturaccioli, la mia curiosità nei confronti degli immigrati è sempre notevole, e dunque attacco con un paio di domande, tipo da quanto è in Italia.

Oh, tantu tempu, venticinque anni“.

Ha preso la cittadinanza italiana, dunque”

Lui attacca con un’altra risata e mi fa “Noo, che cittadino, la cittadinanza non serve, è un cuncettu superadu.”

Nsomma, conosco fior di immigrati che ucciderebbero per avere la cittadinanza e tirarsi fuori dal fottuto permesso di soggiorno.

Lei è brasiliano, allora?

Ecco l’alta risata. “Brazileiro, espagnolo, italianu, tedescu, che importanza ha? La cittadinanza è un cuncettu superadu“.

Aridaje. Colgo l’istante in cui si distrae per scrutare come un barbagianni quello che accade tra i bimbi che strillano e gli avventori che comprano, che lo saluto e me ne vado. Avrei voluto chiedergli da dove diavolo ha preso il nome Kay Inghilterra, e sopratutto dopo quale sbronza di quale particolare superalcolico. Avendo appurato che non è un trans, ma usandone chiaramente il nome, avrei voluto capire anche perchè ha dipinto con la vernice il suo pseudonimo su un bancale di legno.

Ma ci ho rinunciato. Visto che abbiamo per le mani uno strambo cosmopolita, mi avrebbe risposto sicuramente che anche “Inghilterra” è un concetto superadu.

2 Responses to Kay Inghilterra è un cittadino del mondo

  1. LadyLindy ha detto:

    forse c’è un barlume di furbizia e ragione dietro a tutti i suoi concetti suberadi.

  2. punzy ha detto:

    saggio e pazzo, direi..

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