Ballata di San Silvestro

Il passato

Devo ammettere che, per larga parte della mia vita, il fascino dell’ultimo giorno dell’anno non ha temuto il confronto con la vigilia di Natale. Per tutta l’età dell’infanzia (che in me si è protratta nei suoi tratti basilari sino ad un’età che è meglio non precisare) l’idea stessa dell’ultimo giorno dell’anno, del lento avvicinarsi e poi del furioso festeggiamento di quello nuovo di pacca, mi emozionava non poco. Anzitutto, perchè ero letteralmente affascinato dai fuochi artificiali.

Come la stragrande maggioranza delle mie passioni fatue, il mio innamoramento era solo platonico. In altre parole, mi piaceva guardare i fuochi d’artificio, non certo maneggiarli. Sull’enorme terrazza della mia vecchia casa, lasciavo che a posizionarli ed accenderli fossero mio padre o qualche altro adulto (con i miei fratelli che curiosi come gatti si avvicinavano ad una distanza che la mia vigliaccheria non avrebbe mai potuto concepire). A me, anzitutto, piaceva osservarli nelle bancarelle, passavo interi pomeriggi a stazionarci davanti, a chiedere prezzi, caratteristiche ed opinioni al contrabbandiere di sigarette prestato per l’occasione allo smercio di materiale pirico ugualmente illegale. Dopo due tre ore di certosina conoscenza di tutta la mercanzia, mi facevo abilmente truffare dal venditore, che approfittava di un tredicenne con diecimila lire in tasca per gonfiare i prezzi fingendo di offrire saldi d’occasione.

La sera di San Silvestro, poi, era una sfida a rimanere svegli. Tra una tombola in famiglia con triplice smorfia e un trenino ciarlibraun (pena di morte a chi lo ha inventato o anche solo a chi per una volta ci è entrato) solitamente verso le dieci e mezza io già cappottavo su un divano, per essere svegliato da mia madre dieci minuti prima del grande evento. Ricordo ancora l’emozione del conto alla rovescia, aveva qualcosa di esoterico, era come se l’anno nuovo che di lì a poco sarebbe giunto fosse qualcosa di misterioso e insondabile, un nuovo mondo e un nuovo tempo, e nulla sarebbe stato come prima, noi men che meno. Lo spumante scorreva nei bicchieri, io ne bevevo un goccio tra mille smorfie, poi tutti fuori a vedere i fuochi. Mio padre posizionava il tutto e per dieci minuti era una santa barbara di esplosioni, colori, attese di botti, pungente odore di polvere da sparo. Osservavo tutto a debita distanza, come faccio solitamente in ogni cosa della vita, ma registravo quei frizzi e quei lazzi, quei botti inauditi e quelle scintille come emozioni purissime, e quell’anno bello che giunto come un’occasione ripetuta di inventare nuove gozzoviglie nel circo immoto dell’infanzia.

Il presente

L’iconoclastia, si dice, è un segno che annuncia l’arrivo dell’età adulta. Il disprezzo e la foga di distruggere i propri miti, le proprie tradizioni, il proprio status quo ante. Per poi, in età più avanzata, riabbracciarli oppure crearne di altri. Il disincanto, però, ti rende per sempre e definitivamente diverso da com’eri, e molta della magia viene fatalmente e notoriamente inghiottita dal nulla nascosto sotto la parvenza della razionale aderenza alla realtà. Alcuni momenti che nella tua infanzia ingigantivi fino a ritenere magici sono però solamente e inequivocabilmente stupidi, e riguardo ad essi per lo meno non rimpiangi di essere cresciuto.

Il giorno di San Silvestro, al pari dello stupido Carnevale, è stato uno di quei momenti totalmente da me rasi al suolo, privati di qualsiasi significato che non fosse la comprensione della pietosa stupidità umana, sempre affannosamente alla ricerca di riti sociali che plachino le ansie prodotte dal sentirsi finiti e proiettati incontrollabilmente verso il futuro. E’ da una decina di anni esatti – dopo non aver provato alcunchè nel passaggio di anno, secolo e millennio che tutti festeggiavano come epocale  – che non mi aspetto più nulla dal capodanno, se non tentare di non essere disturbato dall’ingiustificato festeggiamento e dalla inspiegabile euforia che produce cenoni, veglioni, serate tutto compreso, angoscianti megatavolate, tutti in attesa di un conto alla rovescia e di un fastidioso scambio di auguri che forse solo quelli di compleanno possono pareggiare in quanto a (in)sensatezza.

Ecco, sulla questione degli auguri poi sono particolarmente suscettibile, quindi vi invito a non prodigarvi su questo blog. Non vi annoierò sulla acclarata mancanza di un perchè bisognerebbe scambiarsi gli auguri, o sulla superstizione insita in ogni felicitazione scambiata, o anche nella sfiga che ogni augurio  – se facciamo i superstiziosi facciamolo fino in fondo – porta inevitabilmente con sè. Per me è una questione essenzialmente di cattivo gusto. Se tu auguri tanta fortuna e serenità ad uno che nell’anno seguente si beccherà tante e tali tragedie che la metà basterebbero, per l’anno dopo potresti anche astenerti dal replicare, per lo meno in nome della decenza. E invece sfido a trovare chi, di fronte al dato di fatto che l’anno nuovo porta con sè tali e tante potenziali nebulose che sarebbe meglio evitare di essere fuori luogo con chi ne ha viste tante già nell’anno precedente, si ferma e magari si limita a bere il suo spumante in silenzio, esprimendo desideri opportunamente più muti.

L’ultima volta che mi hanno fatto tanti cari auguri per un felice e sereno anno nuovo, lo ricordo alla perfezione. Era ovviamente l’anno scorso. Ero in un luogo in cui non avrei dovuto essere, chè il mio luogo era un altro, e già questo spiega molto, per lo meno a me. Ricordo i volti e le frasi di circostanza. L’arrancante arrivare della mezzanotte. Ricordo persino l’ingenuo desiderio di crederci, a quegli auguri che schizzavano per la stanza sublimata di presenze. Ricordo i botti e lo spumante e ancora gli auguri di chi arrivava in ritardo. Ci si baciava tutti, anche tra sconosciuti. Auguri, serenità, ricchezza, amore, salute, e giù ancora dello spumante.

Poi lo so io come è andata. Lo so io quello che mi sto lasciando dietro. E sarà forse perchè il dolore provato è troppo e tanto, e mi circola nelle vene fresco e ancora saturo, ma mi piacerebbe che quest’anno nessuno mi augurasse un cazzo di niente. E non per superstizione, ma solo perchè sarebbe giusto e rispettoso. Sarebbe più decente forse, ecco tutto. Non perchè quegli auguri si siano trasformati in piccoli diavoli del deserto a portare bare piene di fango, a moltiplicare la  paura di addormentarsi e gli incubi alle 5 del mattino. Non perchè quegli auguri incauti abbiano provocato sparizioni di sguardi, progetti, fatiche, dedizioni. Quegli auguri non hanno fatto nulla. Sinceri o di cortesia, pensati o solo pronunciati a memoria, gli auguri non hanno fatto alcun danno che il destino o te stesso non ti abbiano poi marchiato in corpo.

Solo, almeno per quest’anno, lasciate perdere.

3 Responses to Ballata di San Silvestro

  1. fed ha detto:

    Se avvii una petizione per punire con la pena di morte chi ha inventato il trenino ciarlibraun lascia uno spazio per la mia firma, per quanto io sia genericamente contraria alla pena di morte.
    Ma quando ce vo’ ce vo’!

  2. paperogaedintorni ha detto:

    ho anche altre petizioni in corso, come la pena di morte per chi fa il bagno l’1 di gennaio nel mare a 10 gradi.

  3. porzione ha detto:

    Firmo con piacere la petizione e ti auguro un cazzo di niente.

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