Bashir cerca una donna

La stanza dove lavoro, al primo piano dello studio Cavaturaccioli, sembra uno strano incrocio tra un eremo e un loft. Larghi spazi, sedie vuote,  silenzio di tomba. Mentre dal piano di sotto arrivano le eco della battaglia in corso tra gli avvocati e i loro clienti che, quando si tratta di immigrati, spesso si portano all’appuntamento tutta la famiglia fino al terzo grado, vestita per l’occasione come se andassero ad un matrimonio, con i bambini che svicolano sotto le gambe della segretaria impegnata a respingere le avance degli adulti che ci provano nel modo più spudorato che abbia mai visto.

Nel mio studio, invece, si sente solo il ticchettìo delle tastiere e il rumore del pendolo dell’orologio (se ce ne fosse uno, ma insomma rende l’idea). Solitamente non mi occupo direttamente di clienti, non vado in tribunale. Sono un leguleio asettico e sterilizzato (non in tutti i sensi, cristo). Non ho contatti con la gente, passo il tempo in solitudine a scrivere atti, a scartabellare sui codici e sulle raccolte di giurisprudenza. Devo produrre chili di carta, sono pagato a peso. Dello studio sono il teorico, il ghost writer, il consulente. Non sono un grande intrattenitore di clienti, e anzi preferisco non sapere chi sono, perchè c’è una buona probabilità, conoscendo il mio carattere, che mi stiano sulle palle, e poi scrivere un atto in loro favore mi risulterebbe ancor più difficile. Quando da sotto mi chiamano per dirmi – ed è accaduto – che il tal dei tali che ha vinto la causa vorrebbe ringraziarmi di persona, mi invento una scusa. Mi seccherebbe alquanto constatare che ho salvato la ghirba ad uno stronzo qualunque.

Bashir cerca un asilo

Ecco dunque che quando un cliente fa capoccella nel mio stanzone, è perchè ha sbagliato piano. Ma non l’altro giorno. Entra nel mio studio un omino basso e tarchiato. Vuole chiedere l’asilo politico, è pakistano. Dimostra vent’anni in più dei trentasei che si trascina. Carnagione più che olivastra, capelli nerissimi che gli scendono in faccia come una sorta di preterintenzionale emo un po’ in là con gli anni. Giubbotto di pelle, jeans, scarpe messe malaccio. E’ un caso di cui deve occuparsi il mio collega con cui divido la stanza, che invece è un grande praticone sempre lì a fare telefonate ai clienti, a blandirli, a minacciarli, a procacciarsene altri.

Lo straniero si chiama Bashir, si siede, è tranquillo, mi guarda e poi guarda per terra, mi guarda e poi guarda ancora per terra, si tiene le mani ad altezza pacco, ritto sulla schiena comunque piegata da una evidente cifosi. Attende che il mio collega presti attenzione, non pare avere fretta. Quello che segue è un dialogo che ripulisco dalla incomprensioni linguistiche e dalla durata biblica dello stesso, perchè Bashir parla una strana misticanza di lingua urdu  infarcita di improvvisi lemmi di derivazione inglese (tipo “tomoro” che sta per “tomorrow” “uaf”  che sta per “wife”) e tentativi storpianti di italianizzare il tutto. Se non ti viene l’emicrania parlando con Bashir, puoi sopportare anche un concerto di un gansta-rapper.

Collega: Allora Bashir, da quanto tempo sei in Italia e perchè vuoi chiedere l’asilo politico?

Bashir: Sono qui da tre mesi. Sono iscritto ad un partito politico, e sono perseguitato per questo.

Collega: Quale partito?

Bashir (incerto): Il Partito popolare.

Collega (che non è un fesso e digita qualcosa su Google): ah il partito che ha stravinto le elezioni l’anno scorso. Non è un grande argomento per ottenere l’asilo…

Bashir (che capisce che è partito col piede sbagliato): Ah, no, non il partito popolare, no….il partito di Musharraf!

Collega (che digita): Intendi la Lega musulmana del Pakistan?

Bashir (che dalla faccia sembra non averlo mai sentito nominare): Si, si, quello.

Beh, Bashir, non preoccuparti. In questo Paese c’è chi volta la gabbana molto più velocemente di te. Direi anzi che sei entrato nel Paese giusto.

Collega: Hai famiglia in Pakistan? Hai una moglie?

Bashir (che si illumina distendendo finalmente le grinze della faccia in un sorriso quasi beato): Si, moglie, uaf.

Collega: E come si chiama tua moglie? E’ bella?

Bashir (che pare sempre più contento e sognante): Si! Fehmida. Biutful, bella!

Collega: E vuoi farla venire in Italia?

Bashir: Si, Italia, deve venire qui con me.

Collega: E hai figli, Bashir?

Bashir: Si, faiv, cinque!

Per la peppa, Bashir, ed hai avuto anche il tempo di fare l’oppositore politico in tutto questo ripetuto gioco di lombi?

Collega: Cinque, complimenti! E come si chiamano?

Bashir: ….Non me lo ricordo.

Vabbè. Bashir non sarà il Che redivivo e nemmanco il cinese che si frappose ai carri armati in Piazza Tien an men, non sarà manco il padre dell’anno, visto che non ricorda il nome di uno solo dei suoi cinque eredi, però lo vedi come è innamorato della moglie lontana, gli si sono illuminati gli occhi quando ne parlava in quella lingua incomprensibile.

Bashir va in Questura.

Bashir deve presentare i documenti, fare fotosegnalazioni, non so, comunque l’indomani è lì assieme all’avvocatessa del mio studio che ha preso a cuore il suo caso. Accanto a lui, nella sala d’attesa, ci sono due ragazze marocchine, anch’esse clienti, che devono sbrigare altri impicci burocratici. Premetto che non c’ero, e che riferisco solo il racconto della mia collega.

I tre sono l’uno a fianco all’altro. Bashir è nella sua solita posizione, curvo sulla spalle, attento, sornione, con le mani raccolte a proteggersi i gingilli, quasi avesse paura che qualcuno possa spuntare all’improvviso e dargli una martellata sui maroni. Le ragazze parlottano tra di loro, sono entrambe diciottenni, occidentalizzate nei costumi, sostanzialmente a loro agio. Ad un certo punto la ragazza vicino a Bashir si volta verso il tracagnotto signore pakistano e comincia a parlargli. I due parlano tre, quattro minuti, dopo di che la ragazza a disagio si alza di scatto dalla sedia e va incontro all’avvocatessa. A cui riferisce il dialogo indicando Bashir, il quale è sempre più curvo sulle spalle e stringe sempre più forte il pacco come un calciatore disposto in barriera, e si lascia scappare qualche sguardo spaurito e lievemente impregnato di sudore. Non so cosa la ragazza abbia capito del fantasmagorico dialetto bashiriano, ma questo è stato il dialogo, che qui vi allego in stenotipia.

Ragazza (che dopo ammetterà che Bashir gli aveva fatto pena, tutto solo e silenzioso e quindi ha voluto fare conversazione): Come ti chiami?

Bashir (che si illumina si immenso): Bashir!

Segue uno scambio di condizioni personali (chiedo asilo, lavoro in una ditta di pulizie, sono qui da tre mesi, io da tre anni). Uno scambio che per Bashir ha dovuto far scattare una molla particolare, visto che all’improvviso  sbarella e si trasforma in un audace uomo di conquista:

Bashir: Sei sposata?

Ragazza (lievemente sorpresa dalla domanda): No

Bashir (in versione Uomini e donne): Vedi, io sono sposato, ma mia moglie è lontana. E poi tu sei più bella di mia moglie. Io sto cercando una ragazza tranquilla, che non dà problemi, e tu mi sembri una ragazza tranquilla. Che ne diresti?

A quel punto, la ragazza si alza e va dall’avvocatessa. La quale, al termine del racconto, raggiunge a grandi passi Bashir, che ha intuito il guaio in cui si è cacciato, e lo vedi cercare vie di fuga con lo sguardo, ma la collega lo stana, tra il divertito e l’inorridito con un:

“Bashir! Come si dice in urdu che fai ca-ga-re?”

Bashir non comprende l’ironia occidentale, ma capisce il casino orientale che la sua linguaccia e la sua voglia repressa di figa hanno scatenato e se ne esce con un:

“No, no”, dice agitando le mani e sorridendo. Iz a gioc, iz a gioc (suppongo voglia dire it’s a joke).

Avvocatessa: Uno scherzo?

Bashir (che pare un giullare per come si muove agitato e sudato): Si, si, uno scherzo, a gioc.

Pensierino finale per Bashir.

Bashir, io ti voglio molto bene. Non importa se sei un cazzaro nei fatti ed un adultero in potenza. Uno che si propone ad una donna dicendole “Mi sembri una tranquilla e che non dà problemi, mettiamoci insieme”, ha tanto da insegnare. Il giorno che ti beccheranno con dell’hashish nel parco (non mi pari così furbo da non farti beccare, scusa se te lo dico), ti giuro che per la prima volta mi metto la toga e ti difendo io.

La qual cosa, però, ti suoni come una minaccia, e non certo come una consolazione.

8 Responses to Bashir cerca una donna

  1. prefe ha detto:

    tronchi così?

  2. Porzione ha detto:

    Ma Bashir in urdu significa dunque Mastella?

  3. punzy ha detto:

    nel pezzo successivo illustri come bashir giura qualcosa sulla testa dei figli di cui non ricorda il nome?

  4. paperogaedintorni ha detto:

    prefe e punzy: ecco, l’ho scritto tutto, così do la soluzione al quesito della susy
    porzione: mi è scappato un lieve sorriso per la tua battuta, ma forse è un principio di paresi

  5. Porzione ha detto:

    Mi sa che ti conviene stirare la toga domenica.

  6. GamberoDem ha detto:

    Sì, ma dalla De Filippi non cercano “ragazze tranquille”. Per quanto, ce lo vedo un Bashir a Uomini e Donne: si tiene il pacco, parla male, insomma, perfetto.

  7. ilmondodigalatea ha detto:

    Grande!!!! 🙂
    Per essere un avvocato, sei simpaticissimo.
    😉

  8. paperogaedintorni ha detto:

    gamberodem: in effetti, deve solo pettinarsi meglio (leggi, in modo più coglione) e farsi qualche secolo di palestra, poi sulla lingua ci siamo, mica sfilano dei soloni a Uomini e donne.
    galatea: lo prendo come un complimento, dopo essermici arrovellato per due ore…

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