Calcio (all’ego) femminile

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Avvertenza: post solo apparentemente misogino. In realtà trattasi di post contro qualsiasi forma di velleitarismo, che lo scettico Paperoga odia quasi quanto i pezzettoni di cipolla cotta nel sugo. E storica prima immagine softcore nel mio blog.

Nei miei anni di ragionato fancazzismo universitario – siamo alla fine dei sabbiosi anni 90 – avevo un solo grande problema: cercare disperatamente come occupare il tempo nella provincia emiliana, visto che di studiare non ne avevo alcuna intenzione. Come un sessantenne appena pensionato che si affanna a cercare surrogati di occupazione dopo la sua dipartita lavorativa, decisi di approfittare delle vivaci proposte per il tempo libero che la sociale e propulsiva Emilia mi sciorinava. Il senso delle proporzioni nel Paperoga ventenne latitava spesso, dunque questa ansia di impiegare il tempo libero produsse una massacrante non stop fatta di  allenamenti e partite in ben due squadre di calcio diverse, tre orette di piscina, arbitraggi domenicali, un divertente corso di improvvisazione teatrale e infine, devastato da questo spietato time-table, riuscivo ancora ad infilarmi nella nebbiosa bassa emiliana per rimediare inenarrabili figuracce in un corso di danza irlandese.

Nello stesso periodo un amico mi fece una proposta quasi corleonesca: “perchè non mettiamo su una squadra di calcetto femminile? Io faccio l’allenatore, tu il vice, un allenamento a settimana e le iscriviamo ad un campionato. Una decina di ragazze sono disponibili. Che ne dici?”

Ora, prima di continuare devo ammettere che “come occupare il tempo” non era il solo problema di quegli anni emiliani. Un problema non meno urgente era la “mancanza di figa”, problema che, per la prima volta dalla pubertà, cominciava a protrarsi nel tempo, ed uno storico monogamo come me, arcinoto per le sue relazioni pluriennali fin dai suoi sedici anni, cominciava a trovarcisi stretto nei panni dello zitellone. Anche perchè, diciamolo, la qualità e la quantità del porno su internet allora era ben scarsa, solo qualche decina di migliaia di pagine, una miseria.

Di fronte all’occasione di allenare un gineceo di ventenni per un periodo spropositato di tempo, per di più indossanti una divisa da calciatore (uno dei miei massimi sogni erotici da sempre) decisi di far prevalere la mia passione combinata per il calcio e la gnocca, insomma accettai. “Sia mai” – dicevo tra me e me – “che tra quelle dieci ce ne siano un paio di  smaterassabili, di cui almeno una libera e disponibile”. Insomma già sognavo notti selvagge con una giocatrice di calcetto vestita di tutto punto, anche se la terza equazione di Gertrude Stein, altrimenti conosciuta come uno dei dieci luoghi più comuni del mondo, ovvero ragazza che gioca a calcio = tendenziale lesbica, aleggiava nell’aria come una minaccia.

Durante il primo allenamento saggiai subito il materiale a disposizione. Umanamente parlando (e per umanamente intendo “la patata”), qualche margine di manovra c’era, anche se i ciospi erano in maggioranza quasi bulgara. Calcisticamente, un disastro. Cazzo queste non avevano mai toccato un pallone in vita loro. Il portiere designato non sapeva di poter toccare il pallone con le mani, e per almeno cinque allenamenti si affannava a parare con le gambe, la testa, le tette, in pieno ballo di San Vito. Le due che erano posizionate all’ala continuavano a giocare anche quando la palla aveva oltrepassato le linee laterali, e ci voleva un lazo da vaquero per fermarle e bloccarne la corsa infinita. L’attaccante, se veniva anticipata dai difensori si  fermava e si metteva a singhiozzare. L’unica ragazza bravina capace di saltare l’avversario era però lenta come  se avesse ingoiato un enorme sasso, dunque l’unico avversario che poteva superare era un manichino dell’Upim, o in alternativa un difensore colpito da improvvisa sincope. I difensori se la cavavano, ma tendevano a mollare calci a caso come al calciobalilla quando si rulla, e ciò faceva intravedere multiple espulsioni nelle partite ufficiali.

Risultato, uno sfacelo. Insegnare qualcosa che sai che i tuoi discenti non impareranno mai è piuttosto frustrante. Lo fai due, tre, quattro volte, poi ti  passa qualunque voglia. Insegnare i fondamentali del passaggio e del tiro, non dico dello schieramento a zona o del pressing, era una fatica di Sisifo che solo la casta voglia di farmi un paio di loro mi faceva superare. Un paio di mesi di allenamento duro (per le mie coronarie), ed arrivò la prima giornata di campionato.

Partiamo subito dal risultato: 11-0. Per le avversarie. Bollettino: una giocatrice espulsa per aver insultato la madre e la sorella dell’arbitro dopo 4,24 minuti di gioco. Una ragazza che si prende una pallonata in pieno seno e finisce al pronto soccorso. La dribblomane che al primo tentativo si stira un legamento. Il portiere che prende quattro gol sotto le gambe. Un’ala che si rifiuta di rientrare in campo perchè le avversarie le fanno paura.

Per converso, un successo di pubblico che manco lo immaginate. La gente arrivava dalla strada, si fermava sempre più numerosa, si aggrappava alle reti di recinzione affamata di comiche americane anni ’40. Alla fine della partita erano una sessantina. Risate di sottofondo come se fossimo in una sit-com. Gruppi di persone, alla fine della partita, a chiedere all’allenatore quando avremmo giocato di nuovo e dove, perchè così si chiamavano anche gli amici e gli amici degli amici. Un altro si avvicinò a me, che nel frattempo mi ero prudentemente defilato, e mi chiese se ero l’allenatore. Ed io, come il buon Pietro durante la Passione di Cristo, rinnegai la mia squadra per tre volte, facendo finta di essere un uomo di passaggio. E l’emiliano gallo cantò.

(Anche se, a pensarci bene, avremmo potuto mettere su uno spettacolo da baraccone itinerante, tipo Harlem Globetrotters al contrario, e farci un sacco di soldi.)

Il campionato proseguì così, non aspettatevi nessun lieto fine alla Sognando Beckham. Quelle impedite continuarono a prendere una caterva di gol, segnandone in tutto due, di fronte a campetti di periferia stracolmi di gente che invece di vedere Zelig in tv veniva a farsi due risate dal vivo.

Verso la fine del campionato mi ritrovai una sera ad allenare da solo la squadra. Capii che era quello il momento. Mi ero sfracanato la minchia, tra l’altro nessuna me la dava, e pensai di fare un’opera buona, parlando loro francamente. Le feci radunare in cerchio sedute in palestra, per un attimo fui tentato dal chiedere se erano disposte a fare un’orgia memorabile sul parquet di legno, ma poi mi ricomposi e sparai il mio discorso taglia-gambe, che qui riassumo nei suoi fondamentali passaggi di alta psicologia femminile applicata allo sport:

“Ragazze, questo discorso non ve lo faccio per essere cattivo, ma per mettervi di fronte alla realtà e spingervi a fare delle scelte.” Pausa solenne, sguardo negli occhi (chiamiamoli occhi) delle giocatrici. Poi via senza rimorsi.

“Mettiamo le cose in chiaro: voi a calcio non ci sapete giocare. Non dico che giocate male. Dico che fate assolutamente cagare. Non c’è alcun motivo per cui una sola di voi debba mettersi in pantaloncini e rincorrere un pallone, perchè lo spettacolo a cui date vita è assolutamente pietoso. Voi mi direte subito: ci divertiamo, quindi giochiamo. Io vi rispondo: ci sono cose nella vita che non si sanno assolutamente fare. Beh, io da quelle sto lontano, perchè perdo del tempo  e perchè sono fonti di continui fallimenti che bene all’autostima non fanno o perchè ci rendono automaticamente dei presuntuosi. Ci sono decine di cose che ognuno di noi può fare bene, anzi centinaia. Benissimo forse solo un paio, però c’è sempre una lista di 4 o 5 cose in cui siamo assolutamente negati. Ecco, per voi, nessuna esclusa, una di quelle è giocare a pallone. La gente viene a vedervi per deridervi, esteticamente siete uno spettacolo indecente, non avete coordinazione, ciccate il pallone, lo rincorrete ingobbite, se lo prendete lo calciate senza senso in avanti, non reggete dieci minuti di gioco consecutivo senza che la faccia vi si disidrati e vi si legga la morte in faccia. Tutto questo davvero vi diverte? Non pensate che potreste dedicare del tempo a fare qualcosa che non scateni l’ilarità generale e lo sberleffo degli estranei? Io vi dico di pensarci. Con tranquillità. Poi se decidete lo stesso di continuare sappiate che il vostro allenatore ci sarà. Lui, chè io con stasera chiudo perchè mi sono rotto i coglioni.”

Beh, che dire, il discorso di Paperoga, fine psicologo e geniale stratega del corteggiamento, fece breccia: due di loro so che rinunciarono e se ne andarono. Le altre rimasero, e da allora quando mi incontrano per strada fanno finta di non conoscermi. E le due gnocche che avevo puntato, inutile dirlo, non me la diedero mai. Ma forse solo perchè erano lesbiche.

8 Responses to Calcio (all’ego) femminile

  1. Alessandro Arcuri ha detto:

    …ma come? Marco Ferradini diceva perfino “prendi una donna, trattala male…” e assicurava passera garantita!
    Tu hai massacrato un’intera squadra di calcio e nessuna di loro che te l’abbia data?
    Ingrate… 😉

    (I pezzettoni di cipolla nel sugo sono sublimi, lascia stare…)

  2. CMT ha detto:

    A occhio e croce era più softcore l’immagine pubblicitaria di qualche post fa… a parte quello, no comment. ^_^

  3. fed ha detto:

    davvero odi i pezzettoni di cipolla nel sugo?? O__O ma come si può???

  4. Punzy ha detto:

    vorrei dirti che il rinnegare i pezzettoni di cipolla nel sugo e’ un inconscio tentativo di rinnegare la tua terronaggine, di cui la cipolla cotta e’ espressione sulinaria solenne

    si, di tutto il post, che non ti piace la cipolla cotta nel sugo e’ la cosa che mi ha sconvolta di piu’

  5. paperogaedintorni ha detto:

    per tutti: oh, ma che c’avete co sta cipolla? a me piace, ma non piace sentirmi sotto la lingua quei pezzettoni molli e lisci. ci devo fare un post, mi sa. e comunque tutti a guardare a sta cosa, e nessuno che si congratuli con le mie doti da psicologo. puntare alla luna e guardare il dito….

  6. Alessandro Arcuri ha detto:

    Forse non dovevi puntare alla luna ma alla passera… no, come non detto, anche in quel caso non avremmo guardato il dito, sorry.

  7. CMT ha detto:

    [Paperoga: in effetti è inquietante, scrivi un post chilometrico e resta impresso un dettaglio del preambolo… ^__^;
    Comunque la cipolla a fettine sottili si fa! !__! O al limite tritata finemente nel battuto.

  8. dieghermaister ha detto:

    che è sta storia che il portiere può toccare la palla con le mani?

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